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mercoledì 27 giugno 2007

Violenza e sua eco: percezione.

Non ancora persone: solamente donne. Dal taccuino pubblico di Babsi Jones, che come sapete ho letto quella volta e continuo a leggere: "...Perché sto scrivendo tutto questo (e lo sto scrivendo in modo sconnesso, da brogliaccio)? Perché la settimana scorsa mi è capitato fra le mani un libro. BRUCIATA VIVA. L’autrice si chiama Suad, naturalmente è un nome falso, Suad si deve nascondere. Suad era una giovane cisgiordana..."


Conoscevo la storia di Suad, anche se non ho letto il libro. Non l’ho letto per scelta giacché più volte mi è stato sventolato sotto al naso da una sorella inorridita. E non l’ho letto nonostante l’abbia acquistato. Non significa non voler vedere il problema. C’è. Come la storia di Hina Saleem, uccisa e scaricata come immondizia da suo padre e suo fratello perché troppo occidentale. Come la storia della ragazza rumena a cui un collega/conoscente ha strappato, con le proprie mani, i genitali per la furia di uno stupro non riuscito. Ricordate il post di Daniela Tuscano? La violenza si esplica variamente. Lo stupro ne costituisce solo l’esempio più plateale. E non ha altra radice che nel modus pensandi maschile. Pragmatico si dice. Incentrato sul proprio godimento, direi. L’ho scritto qui
Lo conosco il problema. Lo conosco, lo sento dentro, sotto la cute come ago che ti inietta il liquido di contrasto quando fai la tac. Sei lì circondata da persone che per quanto sforzino un’affabilità insolita nella sanità che meglio conosciamo preceduta dall’aggettivo “mala”, percepisci come ostili. Ed è questa la percezione che chi ha subito violenza ha del parlare che se ne fa, anche quando rompe il silenzio, anche quando se ne fotte dei benpensanti e dell’educazione castrante che impone di lavare in casa i panni sporchi. Lo so. L’ho vissuto sulla mia pelle. Lo vivo ogni istante, nonostante io sia una donna emancipata, adulta oramai, intelligente a quanto pare, disinibita tutto sommato.
Nonostante abbia rotto il silenzio.
È la rabbia l’unica buona compagna. Non la vendetta che non conduce a nulla. La rabbia che mi ha spinta, ancora bambina, a distruggere ciò che chi mi ha fatto del male amava di più: non i suoi fiori, quella è stata vendetta, ma la sua convinzione che il mio sì sarebbe stato per sempre. Se c’è un qualcosa che le donne d’occidente possono provare a raccontare come esperienza alle donne d’oriente non è altro che la consapevolezza acquisita con le unghie che si può dire di no. Si può. E va insegnato anche ai bambini, quando s’insegna a dire grazie, prego, scusi, per favore. Ai nostri bambini d’occidente come alle bambine infibulate (non se ne parla più ma ci sono ed è violenza).