Se qualcuno mi chiedesse dove ho trascorso la maggior parte del mio tempo negli ultimi giorni, risponderei di getto: a Roma. Mi domando, tuttavia, se sia corretto giacché ad eccezione di una sboronata sulla già citata Audi Cabrio nuova di zecca (per inciso non mia!) dall’Eur fino a Via Cola di Rienzo, ho trascorso la maggior parte del tempo sotto il getto odioso di condizionatori d’aria di uffici eleganti, ma pur sempre uffici.
Ore 17,15, rientro in Agenzia e decidiamo lì per lì di fare una riunione. Praticamente la mia vita nell’ultima settimana in particolare (ma non solo) si potrebbe sintetizzare nella parola “riunione”. Ho fatto la felicità dei copywriter più rigidi: ho ridotto all’osso, ho sintetizzato al massimo. Nel frattempo la vita, quella vera, ha continuato a viversi da sé.
La mia amica/collega mi propone di uscire insieme dall’Agenzia. Mi lascio trascinare. Fumiamo una sigaretta e percorriamo un pezzo di strada assieme. Abbiamo voglia di chiacchierare un po’ ma temiamo che a parlare vengano fuori solo parole collegate al lavoro. Domenica, mi dice lei, ho visto le tue telefonate. Non ti ho richiamata perché temevo che avremmo finito col parlare di lavoro. Volevo prendere un caffè, le dico con un po’ di magone, consapevole che avremmo, inevitabilmente, finito col parlare di lavoro. Ti accompagno a casa, mi propone. Abito poco distante e faccio sempre volentieri a piedi la strada, mi aiuta a riflettere, però ho voglia di stare con la mia amica e accetto. Parliamo un po’. È sempre piacevole parlare con lei. È una bella persona. Il lavoro è sempre là, sulla punta della lingua. Ce la mordiamo, ma tutto, cazzo, proprio tutto vi gravita attorno. Restiamo in macchina per un’ora, rubando attimi preziosi. Ce li ripigliamo dallo scorrere inesorabile del tempo.
Ore 17,15, rientro in Agenzia e decidiamo lì per lì di fare una riunione. Praticamente la mia vita nell’ultima settimana in particolare (ma non solo) si potrebbe sintetizzare nella parola “riunione”. Ho fatto la felicità dei copywriter più rigidi: ho ridotto all’osso, ho sintetizzato al massimo. Nel frattempo la vita, quella vera, ha continuato a viversi da sé.
La mia amica/collega mi propone di uscire insieme dall’Agenzia. Mi lascio trascinare. Fumiamo una sigaretta e percorriamo un pezzo di strada assieme. Abbiamo voglia di chiacchierare un po’ ma temiamo che a parlare vengano fuori solo parole collegate al lavoro. Domenica, mi dice lei, ho visto le tue telefonate. Non ti ho richiamata perché temevo che avremmo finito col parlare di lavoro. Volevo prendere un caffè, le dico con un po’ di magone, consapevole che avremmo, inevitabilmente, finito col parlare di lavoro. Ti accompagno a casa, mi propone. Abito poco distante e faccio sempre volentieri a piedi la strada, mi aiuta a riflettere, però ho voglia di stare con la mia amica e accetto. Parliamo un po’. È sempre piacevole parlare con lei. È una bella persona. Il lavoro è sempre là, sulla punta della lingua. Ce la mordiamo, ma tutto, cazzo, proprio tutto vi gravita attorno. Restiamo in macchina per un’ora, rubando attimi preziosi. Ce li ripigliamo dallo scorrere inesorabile del tempo.