GLI ALTRI CASSETTI

mercoledì 27 giugno 2007

Io "mi scrivo" da me.

Remo Bassini ha scritto un bel post sul giornalismo di provincia e chi lo fa. Mi capita sovente di sviluppare argomentazioni da argomentazioni seguendo un filo logico che, lo riconosco, talvolta è solo mio. Pertanto ho risposto così:
Qualcuno* ha scritto a proposito dei commenti nei blog “Se volete un posto dove vomitare i cazzi vostri, aprite un vostro blog” e siccome condivido, in genere non vado in giro a rigurgitare e uso il mio cassetto per farlo. Scusami Remo, se questa volta sono incoerente e vengo a vomitare da te.
Va bene difendere la categoria. D’altro canto io faccio la pubblicitaria e quindi capirai bene quanto e quante volte mi trovi nella situazione di doverlo fare. E va bene perché ognuno conosce il proprio universo professionale sicuramente meglio di chi va argomentando alla cieca. Potrei perfino aggiungere una categoria trasversale che è quella dei copywriter. Anche i loro ritmi sono incalzanti, fra modifiche delle bodycopy che arrivano quando hai già pronto l’esecutivo di stampa e bla bla bla. Non sto a ripetere ciò che tu hai già scritto, e bene.
Ora, ciò che – in tutta franchezza – non riesco a tollerare non sono le incoerenze letterarie (uso l’espressione in un’accezione ampia che annovera il lavoro di scrittori, giornalisti e copy) giustificate dalla fretta (spesso), dalla disinformazione (talvolta), dalla presunzione (spessissimo), quanto i numerosi errori di grammatica e sintassi. Diciamocela tutta, se uno scrivendo di getto scrive “qual’è” o “un’uomo” o “perchè” o eccede in interpunzioni ed esclamativi dimenticando l’importanza di una virgola e di un punto, la differenza fra accento e apostrofo, presumibilmente non ce l’ha nel proprio dna la grammatica, o no? Tuttavia, siamo ancora alle pignolerie. Le castronate vere e proprie, spesso, questi signori le fanno quando partono lancia in resta in difesa della lingua italiana, farcendo le loro arringhe di “attimini”, “momentini” e similari. E quando non riconoscono che nella rivoluzione grammaticale degli adolescenti c’è molto di più dello stupro della lingua italiana di cui tanto si parla. In nome di che? Di qualche “pezzo” scritto e di qualche libro pubblicato?
Giulio Mozzi vuole “far cantare” gli scrittori che hanno poggiato il fondoschiena sulle lussuose poltrone della grande editoria**, scoprire gli arcani di un sistema che, in realtà, si srotola senza dignità di fronte ai nostri occhi assuefatti. Qual è la novità? Dove sta l’innovazione? Da un lato si indossa la maglia del “no-global” e si grida al lupo al lupo perché i grandi brand hanno cannibalizzato l’artigianato e, in genere, la produzione di qualità e, d’altro lato, si anela alla consacrazione della parola scritta sotto il marchio che fa vendere. E allora lo si dica chiaramente: scrivo perché voglio vendere e voglio vendere tanto e voglio incassare denaro, perché alla fine è là il nocciolo. O no? Non c’è mica da vergognarsene. La verità rende liberi.
Pubblicare, oggi, è diventato piuttosto semplice. Perfino a me hanno proposto di “lavorare seriamente a Quelli della mia specie, perché c’è un serio interesse alla pubblicazione”. A che pro? Intendiamoci, non faccio mica come Guccini, io: …non comprate i miei dischi e sputatemi addosso…, semplicemente mi domando a che pro? Per aggiungere una riga nella sezione pubblicazioni del mio curriculum?
Che sapore ha la scrittura? Mi piacerebbe che i tanti scrittori di rete e in rete (differenza sottile ma sono certa che l’intenderete) ne parlassero, perché di procedure e reality show oramai non ne possiamo più.
Ringrazio Remo Bassini per la sua risposta:
hai scritto un post, qui da me, grazie.è un argomento, sono argomenti di cui dobbiamo ri-parlare.lo dico sempre che questo blog è un grande blog: più per i commenti che per i post. giuro: son sincero.
Io non so se avrei saputo essere così gentile di fronte a un conclamato off topic come – inconsapevolmente – è diventato il mio intervento man mano che lo scrivevo.
Marco Salvador ha risposto:
assunta. “scrivo perché voglio vendere e voglio vendere tanto e voglio incassare denaro.” parole sante, io la penso così. il che non implica scrivere cagate e piegarsi proni al gusto del pubblico. mai dato fantastici eroi o battaglie campali ai miei lettori. il genere lo contemplava, ma loro hanno capito e non mi hanno abbandomato. il lettore è meno stupido di quanto si creda; naturalmente non mi riferisco a quelli che in bibliotea hanno solo melissa p. o la santacroce o le balzelette di totti.
Condivido pienamente ciò che scrive Marco Salvador. (Si può leggere qui.) Ma lui è già uno scrittore. Ha saltato l’attuale trend dello scrittore step by step. Può permettersi quella onestà intellettuale che a me pare manchi (come possibilità, s’intenda) alla massa enorme di scrittori emergenti e aspiranti scrittori emergenti disposti a tutto per vendere poche centinaia di copie e costretti a quella odiosa menzogna della scrittura come libera espressione. Espressione di che? Libera da cosa? Se la scrittura fosse solo espressione basterebbe scrivere sul web. Se fosse libera non ci si crogiolerebbe nel limbo dello scrittore emergente, ruolo che oramai, diciamocela fino in fondo, tutti possono acquistare con poche migliaia di euro. Da qui a investirne qualcuno in più per arrivare alla grande editoria (quella che può permettersi le campagne di lancio nazionale e le ospitate in televisione), quanto passera?
Chi ne pagherà le conseguenze saranno i lettori. Sarà questo il motivo per cui ci sono più aspiranti scrittori che lettori nel nostro Paese? Sarà che visto l’andazzo ognuno si scrive il proprio libro?
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*Non ricordo il blogger che l'ha scritto, mi spiace. Semmai dovesse palesarsi lo linkerò.
**L'informazione viene dal post di Laura&Lory.