Confesso che mi attendevo un po' di interesse in merito a questo esercizio, ma il risultato è andato ben oltre le mie aspettative e di questo vi ringrazio. Si sono creati spazi di discussione che mi hanno realmente emozionata perché trovo essenziale alla crescita dell'interazione sul web e alla scrittura (non solo quella digitale) lo sviluppo di alcune tematiche, fra le quali senz'altro quella relativa al target. Si sono create gemmazioni interessanti. Si sono creati piccoli malintesi che mi auguro di aver appianato, perché credo che non si tratti di verità taciute o raccontate giacché nessuno è portatore del Verbo, si tratta semplicemente di scambiarsi opinioni con la consapevolezza di essere letti, condivisi o meno. Personalmente soffro di quella che io stessa definisco "sindrome del pubblicitario", una vera deformazione che ti porta, bene o male, a targettizzare e canalizzare la comunicazione. Ma - per fortuna c´è sempre un ma (non sopporto quelli che sostengono che non si debba mai iniziare una frase con il "ma") - c´è di fatto che sono sempre riuscita a distinguere due universi: quello della scrittura di lavoro e quello della scrittura personale. Presumibilmente lo stile resta invariato perché lo ritengo personale, nel senso che fa parte di me e non nel senso che è una mia proprietà. Ho letto a sufficienza per verificare, pagina dopo pagina, che, molto spesso, pensieri che ci sembrano unici, pensati per la prima volta, originali nella forma, nello stile, nel tono... finiscono per essere riconosciuti in altri scritti, in altri autori, in altre epoche storiche. E l'idea che me ne sono fatta io è che si tratti di una meravigliosa fusione di pensieri.
La mia scrittura di lavoro è senz'altro vincolata a un target che deve essere ben delineato sin dall´inizio e raggiunto attraverso forme espressive comuni, indici linguistici ben definiti, toni studiati in base alla tipologia di messaggio. E soprattutto chiarezza. Scrivere per un target dà dei risultati e presumibilmente gli scrittori da grandi numeri (di copie vendute) ne tengono debito conto. Esempio lampante, Federico Moccia che non solo scrive per un target specifico, ma anche con un obiettivo di produzione cinematografica. Non lo sto giudicando, esercito il diritto di dire che non mi piace ciò che scrive e non mi piace il modo in cui lo fa, ma non posso certo non riconoscergli che ciò che scrive e il modo in cui lo fa è assolutamente in linea con il suo pubblico (il suo target).
La mia scrittura personale è invece libera e traccia – o tenta di tracciare – con una sequenza che talvolta può apparire criptica, le linee del mio pensare che non sempre è lineare, quasi mai conforme alle tendenze e sicuramente non racchiuso in schematici preconcetti né di forma né ideologici. Condivide con la prima la ricerca della chiarezza che può senz'altro sfociare nell'esubero di dettagli. Tuttavia, ritengo che in questo la mia scrittura mi somigli parecchio. Mi piace osservare. Guardo le espressioni della gente, vado al di là del sorriso stampato sulla faccia. Osservo il fruttivendolo che espone la frutta e i suoi movimenti nello spostare le casse di legno che talvolta sono dotate di un'apposita maniglia, e noto che il legno è talmente di cattiva qualità che non si mantiene compatto e si sfalda in listarelle talvolta talmente sottili da diventare schegge dolorose che si conficcano nelle dita callose dalle quali fuoriesce una minuscola goccia di sangue e mi ricordo di 'Gurnatedda che ricamava seduta davanti alla finestra e si pungeva le dita delicate con l'ago. Osservo e parlo con tutti i taxisti che incontro (tanti!) e mi nutro di storie che si muovono sotto a quelle schiene poggiate su uno schienale in finta pelle per oltre dieci ore al giorno. Le storie che scrivo – quando ne ho voglia e solo se mi scendono direttamente di dentro – non riescono a prescindere da ciò che vivo, vedo, assaporo, annuso. E mi capita, a volte, di domandarmi: per chi le scrivo? Forse solo per non farle perdere nel tempo, per dar loro uno spazio fisico che sia più sicuro della mia testa. O, come Guccini "ho tante cosa ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare...".
La vera sorpresa è data dal fatto che vi sia piaciuta la storia o, almeno, quella storia che ognuno di voi si è costruito dietro qualche minuto speso a cercare un cellulare o in macchina ad aspettare impazientemente di partire. L’attesa, senza che io me ne accorgessi neppure, è diventata la protagonista attorno alla quale hanno gravitato le fantasie. E forse, oltre la forma, oltre il tono, oltre lo stile, oltre il target … sta nel riuscire a non deludere le aspettative del lettore la forza di uno scrittore.
Vi ringrazio tutti per i bellissimi commenti.
La mia scrittura di lavoro è senz'altro vincolata a un target che deve essere ben delineato sin dall´inizio e raggiunto attraverso forme espressive comuni, indici linguistici ben definiti, toni studiati in base alla tipologia di messaggio. E soprattutto chiarezza. Scrivere per un target dà dei risultati e presumibilmente gli scrittori da grandi numeri (di copie vendute) ne tengono debito conto. Esempio lampante, Federico Moccia che non solo scrive per un target specifico, ma anche con un obiettivo di produzione cinematografica. Non lo sto giudicando, esercito il diritto di dire che non mi piace ciò che scrive e non mi piace il modo in cui lo fa, ma non posso certo non riconoscergli che ciò che scrive e il modo in cui lo fa è assolutamente in linea con il suo pubblico (il suo target).
La mia scrittura personale è invece libera e traccia – o tenta di tracciare – con una sequenza che talvolta può apparire criptica, le linee del mio pensare che non sempre è lineare, quasi mai conforme alle tendenze e sicuramente non racchiuso in schematici preconcetti né di forma né ideologici. Condivide con la prima la ricerca della chiarezza che può senz'altro sfociare nell'esubero di dettagli. Tuttavia, ritengo che in questo la mia scrittura mi somigli parecchio. Mi piace osservare. Guardo le espressioni della gente, vado al di là del sorriso stampato sulla faccia. Osservo il fruttivendolo che espone la frutta e i suoi movimenti nello spostare le casse di legno che talvolta sono dotate di un'apposita maniglia, e noto che il legno è talmente di cattiva qualità che non si mantiene compatto e si sfalda in listarelle talvolta talmente sottili da diventare schegge dolorose che si conficcano nelle dita callose dalle quali fuoriesce una minuscola goccia di sangue e mi ricordo di 'Gurnatedda che ricamava seduta davanti alla finestra e si pungeva le dita delicate con l'ago. Osservo e parlo con tutti i taxisti che incontro (tanti!) e mi nutro di storie che si muovono sotto a quelle schiene poggiate su uno schienale in finta pelle per oltre dieci ore al giorno. Le storie che scrivo – quando ne ho voglia e solo se mi scendono direttamente di dentro – non riescono a prescindere da ciò che vivo, vedo, assaporo, annuso. E mi capita, a volte, di domandarmi: per chi le scrivo? Forse solo per non farle perdere nel tempo, per dar loro uno spazio fisico che sia più sicuro della mia testa. O, come Guccini "ho tante cosa ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare...".
La vera sorpresa è data dal fatto che vi sia piaciuta la storia o, almeno, quella storia che ognuno di voi si è costruito dietro qualche minuto speso a cercare un cellulare o in macchina ad aspettare impazientemente di partire. L’attesa, senza che io me ne accorgessi neppure, è diventata la protagonista attorno alla quale hanno gravitato le fantasie. E forse, oltre la forma, oltre il tono, oltre lo stile, oltre il target … sta nel riuscire a non deludere le aspettative del lettore la forza di uno scrittore.
Vi ringrazio tutti per i bellissimi commenti.