Lo scrittore uscì di casa con la Moleskine in mano, ben visibile affinché tutti potessero intuire, al primo sguardo, le sue caratteristiche di osservatore arguto, pronto a immortalare con le sue parole intime e feroci la realtà. Andò al parco e scelse accuratamente una panchina che gli consentisse una prospettiva allargata sul mondo circostante. Accese una sigaretta e aspirò profondamente il fumo che miscelandosi con l’aria semi-pulita si depositò nei polmoni creando quella catarrosa necessità di sputare parole dalle proprie viscere.
Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto, gli offrì lo spunto creativo di quella tiepida giornata di primavera. Lo scrittore lo osservava mentre compiva il quarto giro di pista. Annotò tutto, perfino il colore degli occhi azzurro-verde che spiccavano sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Le parole si disperdevano in righe poco uniformi: qualcuna andava verso l’alto, qualcuna verso il basso. Forse aveva compiuto un errore imperdonabile per uno scrittore del livello quale egli voleva proporsi al mondo intero: aveva scelto una Moleskine senza righe e senza quadretti. Si era domandato più volte quale fra i taccuini-musa fosse adatto alla sua arte e aveva optato per quello a fogli bianchi. La mia scrittura – si era detto fra sé e sé – è come la pennellata di un pittore. Io sono il Van Gogh della scrittura, mi merito una Moleskine da schizzi. Ora che le righe assumevano un aspetto anarchico non era più convinto della sua scelta. Il colore azzurro-verde degli occhi del giovane, intersecava l’appendice musicale in un tormento di alti e bassi che non dava spazio alla sua sintassi accurata. Avrebbe voluto avere fra le mani il taccuino di Hemingway o di Chatwin, avrebbe voluto accarezzare i loro appunti: quale avranno scelto? Il foglio bianco?, i quadretti?, le righe?
Due adolescenti, ridacchiavano dietro di lui. Non le aveva sentite arrivare, troppo preso dai suoi pensieri, e un po’ lo infastidì quella violazione al suo spazio d’artista, quella intromissione coatta nella delineazione di un’ispirazione profondamente introspettiva da non aver spazio per due personaggi fuori programma. Era costretto ad ascoltare il loro chiacchiericcio inutile, a scoprire che avevano bigiato la scuola per incontrare Greg. Chi è Greg? Allo scrittore non importava affatto, lui aveva già il suo personaggio e queste due ochette con la maglietta scollata sotto ai giubbottini colorati lo stavano importunando. Il continuo drindinnare dei loro cellulari lo irritava. L’alto e il basso delle sue righe pure. Cercò nello zaino il vecchio quaderno di appunti, un banalissimo quaderno con il volto di quello che era stato il suo calciatore preferito, sulla copertina. Un quaderno da dilettante, da appassionato della scrittura, non un vero taccuino da scrittore come quello che, ora, era nelle sue mani e avrebbe suggellato il suo successo. Scorse velocemente le pagine, senza leggere ché quelle erano emozioni d’altri tempi, senza struttura e senza corpo. Gli interessava trovare una pagina non scritta, una pagina da posizionare sotto ai fogli bianchi del suo futuro da grande scrittore, ‘sì da avere in trasparenza linee rette orizzontali che non osava, non più, chiamare fogli a righe. Trovò tre pagine bianche e si rallegrò che quel suo passato da intimo scribacchino avesse concesso una chance al suo futuro.
Greg arrivò, fasciato in jeans attillati a vita bassa che lasciavano intravedere l’elastico di un intimo alla moda. Rispondeva a voce alta al cellulare con display ad alta definizione e si atteggiava come un uomo fatto contrastato dalla peluria ancora incerta che copriva il suo volto familiare per la sua indistinta generalizzazione fisica che rende gli adolescenti tutti, inevitabilmente, somiglianti. La ragazza coi capelli lunghi gli andò incontro e gli stampò un bacio sulla guancia. Salutandola, Greg le diede un’identità: Gio’. L’altra aveva i capelli più corti e sembrava meno loquace, scompariva in un corpo esageratamente magro e sotto a un cerchio nero naturale che infossava i suoi occhi forse neri o solo spenti. Greg e Gio’ non la chiamarono mai per nome, lasciandola in un anonimato temporaneo, sotto un filo di trucco che non riusciva a velare un pallore innaturale.
Il giovane in calzoncini corti e canottiera sudata, giunse al termine del quarto giro di pista. I suoi occhi azzurro-verde incrociarono quelli dello scrittore che si sentì nudo di fronte al suo personaggio, sconfitto da una passione descrittiva quasi morbosa. Si fermò davanti alla panchina e avanzò verso di lui. Lo scrittore si sentì investito da un’emozione forte: il suo personaggio stava prendendo vita, si stava avvicinando a lui, presto le loro anime si sarebbero congiunte in un amplesso emozionante. Strinse forte la sua Moleskine, la sua musa, il suo futuro. Il petto sembrava una piazza di paese in festa. Il giovane oltrepassò la panchina e raggiunse i tre intrusi, sotto al tiglio, proprio alle spalle dello scrittore. Salutò Greg, Gio’ e…Maddi. Maddi si alzò per la prima volta, abbracciò il giovane coi calzoncini corti e la canottiera sudata e si abbandonò ad un pianto disperato in cui trovò anche lui un’identità: Leo.
Lo scrittore strappò la pagina al vecchio quaderno, la inserì sotto al secondo foglio della Moleskine e riordinò i suoi appunti: Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto è giunto al quarto giro di pista. Il colore degli occhi azzurro-verde spicca sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Ora le righe erano perfettamente allineate.
Con la sua Moleskine sotto al braccio, accese un’altra sigaretta. Dietro di lui, il suo personaggio e i tre intrusi si stavano allontanando. L’emozione per quella prima pennellata lo riempiva totalmente. Abbandonò il parco e andò in libreria. Fra le novità spiccava il libro di uno scrittore che non gli piaceva per nulla: giovanilista e subdolo. Rigirò fra le mani una delle poche copie rimaste, altre erano in cassa, fra le mani di Gio’ e Maddi, che lo scrittore non riconobbe. Nella prima pagina lesse: Un giorno attraversi un frammento della tua città. Visto e rivisto, eppure capace di stupirti in qualche suo piccolo, nascosto particolare. Lo attraversi e non stai cercando niente. Nessuna novità. Sei lì, come lo sei stato tante e tante volte in passato. Sei lì e vedi qualcuno. Di cui non sai nulla. Nemmeno ora che scrivi e che è passato del tempo. Qualcuno che ti suggerisce, senza nemmeno saperlo, una storia. Una storia intera che praticamente si è scritta da sola.
Lo scrittore lasciò la copia ad altri avventori meno arguti di lui. Diede un’occhiata alla sua Moleskine, e si contorse in un’espressione di angoscia che esprimeva tutto il suo rammarico per una categoria di lettori incapaci di comprendere il valore della letteratura, della cultura, della scrittura. Quell’espositore all’ingresso, con le poche copie rimaste di un libro senza altro spessore culturale che l’osservazione dei propri lettori gli incuteva più timore di ogni imbarbarimento umano. Quel libro stava occupando il posto che, per diritto letterario, spetta a lui. Lui che adesso ha una Moleskine e un personaggio. Che scrive per sé e non per un lettore specifico. Che osserva con l’arguzia dell’intellettuale e non quale selvaggio assorbente della vita. Le righe perfettamente allineate sul secondo foglio della sua Moleskine sono un’aspirazione e una condanna, l’esempio di una qualità di scrittura che a nessuno più interessa indagare. Il petto gli si strazia in una morsa di dolore e dà un calcio all’espositore. Denuncia al mondo racchiuso nella libreria di paese la sua disapprovazione, il suo tormento, il suo struggimento.
Maddi, magrissima, gli si avvicina e gli domanda cos’abbia. Lo scrittore tace, non ha parole per lei, non la conosce. Nella foga la Moleskine è caduta e si è aperta sul secondo foglio con le righe perfettamente allineate e una bella scrittura chiara. Maddi legge: Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto è giunto al quarto giro di pista. Il colore degli occhi azzurro-verde spicca sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Legge, ma non riconosce quel momento che pure le è appartenuto, non trova il perché di quel pianto disperato rimasto nel parco. Richiude la Moleskine, la porge allo scrittore e va via con il suo nuovo libro sotto al braccio.
Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto, gli offrì lo spunto creativo di quella tiepida giornata di primavera. Lo scrittore lo osservava mentre compiva il quarto giro di pista. Annotò tutto, perfino il colore degli occhi azzurro-verde che spiccavano sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Le parole si disperdevano in righe poco uniformi: qualcuna andava verso l’alto, qualcuna verso il basso. Forse aveva compiuto un errore imperdonabile per uno scrittore del livello quale egli voleva proporsi al mondo intero: aveva scelto una Moleskine senza righe e senza quadretti. Si era domandato più volte quale fra i taccuini-musa fosse adatto alla sua arte e aveva optato per quello a fogli bianchi. La mia scrittura – si era detto fra sé e sé – è come la pennellata di un pittore. Io sono il Van Gogh della scrittura, mi merito una Moleskine da schizzi. Ora che le righe assumevano un aspetto anarchico non era più convinto della sua scelta. Il colore azzurro-verde degli occhi del giovane, intersecava l’appendice musicale in un tormento di alti e bassi che non dava spazio alla sua sintassi accurata. Avrebbe voluto avere fra le mani il taccuino di Hemingway o di Chatwin, avrebbe voluto accarezzare i loro appunti: quale avranno scelto? Il foglio bianco?, i quadretti?, le righe?
Due adolescenti, ridacchiavano dietro di lui. Non le aveva sentite arrivare, troppo preso dai suoi pensieri, e un po’ lo infastidì quella violazione al suo spazio d’artista, quella intromissione coatta nella delineazione di un’ispirazione profondamente introspettiva da non aver spazio per due personaggi fuori programma. Era costretto ad ascoltare il loro chiacchiericcio inutile, a scoprire che avevano bigiato la scuola per incontrare Greg. Chi è Greg? Allo scrittore non importava affatto, lui aveva già il suo personaggio e queste due ochette con la maglietta scollata sotto ai giubbottini colorati lo stavano importunando. Il continuo drindinnare dei loro cellulari lo irritava. L’alto e il basso delle sue righe pure. Cercò nello zaino il vecchio quaderno di appunti, un banalissimo quaderno con il volto di quello che era stato il suo calciatore preferito, sulla copertina. Un quaderno da dilettante, da appassionato della scrittura, non un vero taccuino da scrittore come quello che, ora, era nelle sue mani e avrebbe suggellato il suo successo. Scorse velocemente le pagine, senza leggere ché quelle erano emozioni d’altri tempi, senza struttura e senza corpo. Gli interessava trovare una pagina non scritta, una pagina da posizionare sotto ai fogli bianchi del suo futuro da grande scrittore, ‘sì da avere in trasparenza linee rette orizzontali che non osava, non più, chiamare fogli a righe. Trovò tre pagine bianche e si rallegrò che quel suo passato da intimo scribacchino avesse concesso una chance al suo futuro.
Greg arrivò, fasciato in jeans attillati a vita bassa che lasciavano intravedere l’elastico di un intimo alla moda. Rispondeva a voce alta al cellulare con display ad alta definizione e si atteggiava come un uomo fatto contrastato dalla peluria ancora incerta che copriva il suo volto familiare per la sua indistinta generalizzazione fisica che rende gli adolescenti tutti, inevitabilmente, somiglianti. La ragazza coi capelli lunghi gli andò incontro e gli stampò un bacio sulla guancia. Salutandola, Greg le diede un’identità: Gio’. L’altra aveva i capelli più corti e sembrava meno loquace, scompariva in un corpo esageratamente magro e sotto a un cerchio nero naturale che infossava i suoi occhi forse neri o solo spenti. Greg e Gio’ non la chiamarono mai per nome, lasciandola in un anonimato temporaneo, sotto un filo di trucco che non riusciva a velare un pallore innaturale.
Il giovane in calzoncini corti e canottiera sudata, giunse al termine del quarto giro di pista. I suoi occhi azzurro-verde incrociarono quelli dello scrittore che si sentì nudo di fronte al suo personaggio, sconfitto da una passione descrittiva quasi morbosa. Si fermò davanti alla panchina e avanzò verso di lui. Lo scrittore si sentì investito da un’emozione forte: il suo personaggio stava prendendo vita, si stava avvicinando a lui, presto le loro anime si sarebbero congiunte in un amplesso emozionante. Strinse forte la sua Moleskine, la sua musa, il suo futuro. Il petto sembrava una piazza di paese in festa. Il giovane oltrepassò la panchina e raggiunse i tre intrusi, sotto al tiglio, proprio alle spalle dello scrittore. Salutò Greg, Gio’ e…Maddi. Maddi si alzò per la prima volta, abbracciò il giovane coi calzoncini corti e la canottiera sudata e si abbandonò ad un pianto disperato in cui trovò anche lui un’identità: Leo.
Lo scrittore strappò la pagina al vecchio quaderno, la inserì sotto al secondo foglio della Moleskine e riordinò i suoi appunti: Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto è giunto al quarto giro di pista. Il colore degli occhi azzurro-verde spicca sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Ora le righe erano perfettamente allineate.
Con la sua Moleskine sotto al braccio, accese un’altra sigaretta. Dietro di lui, il suo personaggio e i tre intrusi si stavano allontanando. L’emozione per quella prima pennellata lo riempiva totalmente. Abbandonò il parco e andò in libreria. Fra le novità spiccava il libro di uno scrittore che non gli piaceva per nulla: giovanilista e subdolo. Rigirò fra le mani una delle poche copie rimaste, altre erano in cassa, fra le mani di Gio’ e Maddi, che lo scrittore non riconobbe. Nella prima pagina lesse: Un giorno attraversi un frammento della tua città. Visto e rivisto, eppure capace di stupirti in qualche suo piccolo, nascosto particolare. Lo attraversi e non stai cercando niente. Nessuna novità. Sei lì, come lo sei stato tante e tante volte in passato. Sei lì e vedi qualcuno. Di cui non sai nulla. Nemmeno ora che scrivi e che è passato del tempo. Qualcuno che ti suggerisce, senza nemmeno saperlo, una storia. Una storia intera che praticamente si è scritta da sola.
Lo scrittore lasciò la copia ad altri avventori meno arguti di lui. Diede un’occhiata alla sua Moleskine, e si contorse in un’espressione di angoscia che esprimeva tutto il suo rammarico per una categoria di lettori incapaci di comprendere il valore della letteratura, della cultura, della scrittura. Quell’espositore all’ingresso, con le poche copie rimaste di un libro senza altro spessore culturale che l’osservazione dei propri lettori gli incuteva più timore di ogni imbarbarimento umano. Quel libro stava occupando il posto che, per diritto letterario, spetta a lui. Lui che adesso ha una Moleskine e un personaggio. Che scrive per sé e non per un lettore specifico. Che osserva con l’arguzia dell’intellettuale e non quale selvaggio assorbente della vita. Le righe perfettamente allineate sul secondo foglio della sua Moleskine sono un’aspirazione e una condanna, l’esempio di una qualità di scrittura che a nessuno più interessa indagare. Il petto gli si strazia in una morsa di dolore e dà un calcio all’espositore. Denuncia al mondo racchiuso nella libreria di paese la sua disapprovazione, il suo tormento, il suo struggimento.
Maddi, magrissima, gli si avvicina e gli domanda cos’abbia. Lo scrittore tace, non ha parole per lei, non la conosce. Nella foga la Moleskine è caduta e si è aperta sul secondo foglio con le righe perfettamente allineate e una bella scrittura chiara. Maddi legge: Il giovane, coi calzoncini corti, la canottiera zuppa di sudore e l’appendice musicale penzolante dalla tasca posteriore, collegata ai timpani come protesi permanente senza timore di rigetto è giunto al quarto giro di pista. Il colore degli occhi azzurro-verde spicca sulla pelle già abbronzata in un aprile tiepido ma non ancora caldo.
Legge, ma non riconosce quel momento che pure le è appartenuto, non trova il perché di quel pianto disperato rimasto nel parco. Richiude la Moleskine, la porge allo scrittore e va via con il suo nuovo libro sotto al braccio.