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giovedì 18 ottobre 2007

La parabola del figlio di Abramo. Parte seconda.

Ci fu un tempo in cui Dio chiamò Abramo e gli disse: Sacrifica tuo figlio sull’altare. Fallo per amor Mio. E Abramo condusse il figlio sull’altare, tirò fuori il suo pugnale affilato e alzò il braccio, dritto e fermo, sopra il suo corpo inerme e fiducioso. Ma Dio lo fermò: Mi basta sapere che l’avresti fatto, disse ad Abramo. Va in gloria e cresci il tuo figliolo nel nome Mio. E Abramo condusse il figlio dalla moglie e le disse: Cresci mio figlio nel nome di Dio. La donna era all’oscuro dello scherzetto che Dio [burlone] aveva giocato ad Abramo, pensò che il marito non avesse avuto le palle e, per dirla tutta, quel giorno aveva pure le sue cose e un filino di depressione [e a quei tempi mica c’erano tanti psichiatri pronti a prescrivere antidepressivi e psicofarmaci], così un po’ stordita, un po’ giù di pressione e un po’ svampita, condusse il figlio nella stalla vicina e lo sgozzò. Poi si rivolse al Signore Iddio e pregò: Sia fatta la tua volontà, Signore. Ti dono il mio figliolo diletto. Io gli ho dato la vita e Io gli ho dato la morte. In nome Tuo, s’intenda!
Dio che si era un po’ distratto si trovò di fronte al fatto compiuto.
Che cazzo hai fatto? Tuonò.
Non lo so, ero fuori di me. Lo sai che le mestruazioni mi fanno uno strano effetto! Certo che ci potevi andare giù meno duro con noi donne, Signore… A me non mi pare corretto che per tutta la vita devo penare per colpa di una mela e di una zoccola con le voglie.
Cos’hai fatto, donna? Hai ammazzato tuo figlio?
Io gli ho dato la vita e Io gli ho dato la morte, Signore. In fondo, che differenza c’è fra me e te?


Morale: un tempo i depressi si buttavano giù da una rupe, oggi ammazzano i figli. Donne, è ora che la smettiamo di crederci Dio. Dare la vita è un mistero prezioso che non dà il diritto di toglierla. Un figlio è una persona, non è cosa nostra, non ci appartiene. Gli dobbiamo rispetto.