Rispetto alla festa di halloween (che personalmente trovo divertente), la cosa che più mi spiace è il constatare, ogni anno, la mancanza di conoscenza delle tradizioni italiane, e, ogni anno m’incazzo un po’ di più con Garibaldi e il suo obbedisco della malora.
In realtà, vi sono paesi del Sud, dove "la notte dei morti” è sempre stata festeggiata in maniera piuttosto interessante. A Sannicandro Garganico, per esempio, la notte del 31 ottobre, i bambini, mascherati o no, si riunivano in gruppi e andavano per case a chiedere “l’anima dei morti”. Il ritornello non era “dolcetto o scherzetto”, bensì “damm l’an’ma ‘i mort ca s’ no t’ sfasc la porta” [traduzione doverosa: dammi un regalino - metaforicamente indicato come “anima dei morti”- altrimenti butto giù la porta]. Il “regalino” ha avuto, ovviamente, la sua evoluzione. In principio erano dolci fatti in casa, essenzialmente peperati che si iniziava già a preparare dalla fine di ottobre e che avrebbero costituito il dolce natalizio, ché i panettoni manco si sapeva cosa fossero, ma anche taralli dolci da pocciare nel vino, melacotogne, melagrane, marmellate, castagne, ceci cotti nella cenere, collane di sorbi essiccati. Inoltre, il mattino del 1 novembre, i bambini trovavano “la calza” piena di dolcetti. Non era la befana a portarla a cavallo di una scopa, ma erano i propri morti che dall’aldilà pensavano ai loro bambini. Questo creava un legame fra vivi e morti che andava oltre l’orrore, e si attendeva quella notte in cui le anime si sarebbero congiunte in una sorta di prova generale del Giudizio Universale.
In realtà, vi sono paesi del Sud, dove "la notte dei morti” è sempre stata festeggiata in maniera piuttosto interessante. A Sannicandro Garganico, per esempio, la notte del 31 ottobre, i bambini, mascherati o no, si riunivano in gruppi e andavano per case a chiedere “l’anima dei morti”. Il ritornello non era “dolcetto o scherzetto”, bensì “damm l’an’ma ‘i mort ca s’ no t’ sfasc la porta” [traduzione doverosa: dammi un regalino - metaforicamente indicato come “anima dei morti”- altrimenti butto giù la porta]. Il “regalino” ha avuto, ovviamente, la sua evoluzione. In principio erano dolci fatti in casa, essenzialmente peperati che si iniziava già a preparare dalla fine di ottobre e che avrebbero costituito il dolce natalizio, ché i panettoni manco si sapeva cosa fossero, ma anche taralli dolci da pocciare nel vino, melacotogne, melagrane, marmellate, castagne, ceci cotti nella cenere, collane di sorbi essiccati. Inoltre, il mattino del 1 novembre, i bambini trovavano “la calza” piena di dolcetti. Non era la befana a portarla a cavallo di una scopa, ma erano i propri morti che dall’aldilà pensavano ai loro bambini. Questo creava un legame fra vivi e morti che andava oltre l’orrore, e si attendeva quella notte in cui le anime si sarebbero congiunte in una sorta di prova generale del Giudizio Universale.