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mercoledì 31 ottobre 2007

L'anima dei morti.

Rispetto alla festa di halloween (che personalmente trovo divertente), la cosa che più mi spiace è il constatare, ogni anno, la mancanza di conoscenza delle tradizioni italiane, e, ogni anno m’incazzo un po’ di più con Garibaldi e il suo obbedisco della malora.

In realtà, vi sono paesi del Sud, dove "la notte dei morti” è sempre stata festeggiata in maniera piuttosto interessante. A Sannicandro Garganico, per esempio, la notte del 31 ottobre, i bambini, mascherati o no, si riunivano in gruppi e andavano per case a chiedere “l’anima dei morti”. Il ritornello non era “dolcetto o scherzetto”, bensì “damm l’an’ma ‘i mort ca s’ no t’ sfasc la porta” [traduzione doverosa: dammi un regalino - metaforicamente indicato come “anima dei morti”- altrimenti butto giù la porta]. Il “regalino” ha avuto, ovviamente, la sua evoluzione. In principio erano dolci fatti in casa, essenzialmente peperati che si iniziava già a preparare dalla fine di ottobre e che avrebbero costituito il dolce natalizio, ché i panettoni manco si sapeva cosa fossero, ma anche taralli dolci da pocciare nel vino, melacotogne, melagrane, marmellate, castagne, ceci cotti nella cenere, collane di sorbi essiccati. Inoltre, il mattino del 1 novembre, i bambini trovavano “la calza” piena di dolcetti. Non era la befana a portarla a cavallo di una scopa, ma erano i propri morti che dall’aldilà pensavano ai loro bambini. Questo creava un legame fra vivi e morti che andava oltre l’orrore, e si attendeva quella notte in cui le anime si sarebbero congiunte in una sorta di prova generale del Giudizio Universale.