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giovedì 1 febbraio 2007

DIN DON! Parliamo di Dio?

Sono lì a godermi il meritato e biblico riposo settimanale, avvolta nel manto protettivo di un pigiama in felpa pesante, con i capelli bagnati e la maschera rilassante sul viso, a guardarmi il dvd che ha imperato per tutta la settimana accanto al televisore, ricevendo occhiate lussuriose: Ciao bello, sabato stiamo soli, io e te! Organizzo le cose da fare, e step by step le metto in pratica. Al pomeriggio sono più stanca della sera precedente, ma so che da quel momento e fino alla sera successiva sarò libera. È sufficiente per sentirmi bene. Sistemo i cuscini sul divano, giro il carrello ruotante della tv e posiziono il monitor nella direzione ideale. Finalmente inizia il film e…DIN DON!
Rispondo al citofono e sento una vocina da folletto gioioso che mi dice: Buoooonasera, lei crede in Dio? Sono veramente poche le cose che mi stupiscono. Questa è una di quelle. Mi scusi, lei mi sta facendo, attraverso il citofono, la domanda più importante del mondo? Sul serio mi sta chiedendo di dire a lei che non conosco se credo in Dio?
Questi piccoli soldatini di Dio (che siano testimoni di geova o mormoni o evangelisti o vattelappesca) istruiti secondo le più moderne tecniche di marketing di approccio e di relazione, hanno una risposta per tutto, ma soprattutto sono allenati a difendersi. Così passa al contrattacco e si scusa per non essersi presentato, si qualifica con nome e fede e mi chiede la cortesia di aprire il portone. Faccio presente che non ho tempo, disponibilità d’animo e, sinceramente, voglia di riceverlo, ma lui insiste che “almeno” gli apra il portone. Non apro perché se non mi fido di un profeta conclamato, ancor meno mi fido di una voce vagamente qualificatasi. Penso alle due signore anziane che abitano nel mio condominio ed evito accuratamente di far entrare un estraneo.
Sistemo ancora i cuscini, mi sdraio, ritorno al mio film...e…DIN DON! Questa volta il folletto è dietro la mia porta (qualcuno ha aperto) e mi rifà la stessa domanda. Faccio presente che non ho nessuna voglia di parlare con lui e, di rimando, mi giunge una vocina da folletta per bene: Vogliamo solo lasciarle una rivista.
Mi sento braccata. Non c’è modo di liberarmene.
Scusatemi, non posso ricevere nessuno in questo momento.
Le lasciamo la rivista…parla della società, della guerra, dei giovani…
Per cortesia, non ho voglia…
Non deve sentirsi obbligata, vogliamo solo portare la parola del Signore.
Non devo sentirmi obbligata? È da un quarto d’ora che mi massacrano i cosiddetti e non devo sentirmi obbligata? A questo punto il pomeriggio è saltato, la serenità agognata è andata a farsi fottere e così, con tanto di pigiama in felpa a pois e maschera verde sulla faccia, apro la porta e li invito ad entrare.
(…)
Prego, accomodatevi.
(…)
Prego. (Accompagno l’invito verbale con un plateale gesto del braccio.)
Forse non è il momento…ci scusi…
È da un quarto d’ora che dico che non ho voglia e che non è il momento, signora. Adesso ho aperto e mi fa la cortesia di illustrarmi tutto il suo repertorio.
Volevamo solo lasciarle la rivista…
Non è vero signora, suo marito – è suo marito? – mi ha chiesto se credo in Dio, bene adesso voglio rispondere.
Ci scusi…
Mi porge la rivista e cerca di girare sul fianco sinistro, travolge il folletto e scappa.
Pigiama in felpa e maschera idratante: chissà se funziona anche coi topi d'appartamento?!