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venerdì 16 febbraio 2007

Oggi ho la diarrea.


Dirsi per dirsi, o dirsi per sapersi? Sembra uno scioglilingua questa domanda che da un po’ di tempo batte a tamburo nella mia testa, tum tum tum. Mi sento assaltata, presa alle spalle dal frastuono del tempo che scorre nel silenzio della conoscenza di me stessa. In trincea, armata solo della voglia di approfondire, di capire che cazzo c’è al di là del niente che mi gira attorno, tum tum tum. I proiettili sono il tempo e si usurano in fretta ad opera dei pensieri, tum tum tum. Corrono, elevatissimi e nobili, i pensieri, e si sfracellano sul suolo reso arido dalle mine anti-uomo, anti-dignità, anti-pensiero. Cos’è che ci rende così squallidi? Cos’è che ci fa preferire raccontare della diarrea quotidiana piuttosto che di quello che siamo dentro?
Si deve cominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli dei ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita. La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire.
(Oliver Sacks)
Siamo incapaci di guardarci dentro perché non sappiamo più guardarci indietro. Vomitiamo banalità, ci spurghiamo senza pulirci, crogiolandoci fra la melma defecata, senza capacità di scernere e tirare fuori quel poco di buono che c’è. La diarrea è il risultato di ciò che siamo. Guardarci indietro. Guardarci indietro senza rimuginare, ma con lo spirito di chi osserva e indaga, e osserva e indaga, e osserva e indaga… leggere se stessi. Trovare l’inaspettato dentro la diarrea, quello sì che sarebbe un risultato. La conoscenza è l’Alginor per la diarrea mentale.