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venerdì 9 marzo 2007

Please, visit Italy.


Visto che il sito dell'Italia della qualità non funziona - la strategia è a dir poco scadente - che fare? È il momento che la politica si muova in prima persona ed ecco la pillola spot/appello di Rutelli: per favore visitate l’Italia. (video pubblicato da Beppe Grillo)
La storia:
L’Italia lascia il segno, un pay off costato centomila euro. Ok, non da solo. Accompagnato da un logo che ci rappresenterà in tutto il mondo. Povera Italia!
Si eleva lo sdegno creativo (?). Il punto interrogativo perché fra questi commenti ho letto una serie di ovvietà dettate più dal gusto di dire scempiaggini (spesso sotto la protezione di un nick) che da una vera e propria riflessione professionale.
Personalmente ho commentato così:
In tanti anni di accounting ho imparato a non “giudicare” la creatività, ma ad “esprimere dei pareri”. Per farlo, ovviamente, occorrerebbe avere per le mani il briefing e il de-briefing e quindi, poter constatare, quali sono gli obiettivi di comunicazione che i creativi hanno seguito. In mancanza proverò a fare un ragionamento al contrario, partendo dal risultato. Posso presumere, ad esempio, che sia stato innanzitutto chiesto ai creativi di utilizzare un segno grafico “pulito” – per distinguerci nel marasma di segni grafici europei. Non sono certo più gradevoli i loghi della Grecia, della Spagna o anche della Francia, alla quale si deve tuttavia riconoscere un certo savoir faire rispetto al payoff, Maison de la France, che rievoca la storia degli atelier e delle mannequin, ma anche dello champagne e quindi di canali francesi noti e apprezzati in tutto il mondo. Ciò che, a mio avviso, manca in questo logo sono proprio la storia e un canale immediatamente riconoscibile e riconducibile all’Italia. Avrebbe potuto essere quello della moda, ma anche – perché no? – quello del gusto, o della rilassatezza tipica italiana (così compiendo quel miracolo che noi account chiediamo sempre, vale a dire trasformare un minus in un plus).
Senza esprimere giudizi sulla creatività (a chi lo fa con tanta irruente facilità vorrei chiedere di provare a proporre un logo alternativo, perché – come dico ai miei collaboratori e stagisti – mai dire non va bene se non si ha già il meglio in tasca, mai dire brutto se non si ha già il bello in mano), penso di poter affermare con una certa dimestichezza, almeno tre cose:
Uno: si è percorsa la strada più semplice, veloce e ahimè più banale per esprimere il concetto di italianità: il tricolore. Scontato, come lo sarebbe un logo che riportasse l’immagine di un piatto di spaghetti rossi, bianchi e verdi.
Due: non si è tenuto conto della declinabilità del logo. Non ho bisogno di fare un test con photoshop per capire che non funziona su sfondo colorato perché si determina uno sgradevole affollamento cromatico. Non per nulla nella presentazione il logo è declinato esclusivamente su sfondo bianco. Né occorre un test per capire che non funziona per nulla in negativo, come sempre accade quando si punta sul colore piuttosto che sull’icona.
Tre: non funziona senza il payoff perché non vi è riconoscibilità dell’Italia che, convenzionalmente, nella rappresentazione grafica è uno stivale. Ma qui per vedere lo stivale occorre fare uno sforzo enorme. E sullo stesso payoff: L’Italia lascia il segno, c’è senz’altro da dire che probabilmente il concept di partenza era “la firma”, intesa non solo come brand/moda ma anche come ricordo (bel Paese=bel ricordo). Però - e mi fa specie che il copy non ne abbia tenuto conto – nell’immaginario collettivo “lasciare il segno” è spesso collegabile a una percezione negativa.
Naturalmente, logo e pay off, sono solo il primo passo: ogni Paese che si rispetti ha il suo website. Poteva essere da meno il Bel Paese? Naaaaa, e infatti si spendono quarantanovemilioni di euro per questo sito qua. La mia amica Jane, che l’inglese lo mastica giusto un po’, fece notare gravi incoerenze nella traduzione e lanciò un blogconcorso per la caccia all’errore.