GLI ALTRI CASSETTI

domenica 15 luglio 2007

Il problema sono io.

Ho riflettuto sulle frizioni che ci sono state negli ultimi giorni e, a conti fatti, devo riconoscere, che un po’ puntuti (espressione che usava spesso Enzo Baldoni quando voleva sottolineare l’incapacità ad accogliere apertamente le opinioni altrui) lo siamo stati tutti. E devo, altresì, riconoscere che ciò che si rischia di perdere è di gran lunga più prezioso di ciò che se ne può guadagnare in orgoglio.
L’uscita di Amato, che trovo, a dir poco, infelice perché un ministro non si può permettere di alimentare dissapori che dall’obbedisco di Garibaldi in poi hanno spaccato l’Italia, unita sì ma fondamentalmente rimasta divisa culturalmente ed economicamente, ha suscitato proprio quella diarrea da post “Nord e Sud l’un contro l’altro armati” che temevo e che ho cercato di evitare provando a suggerire altre tematiche che, pure, scaturivano da quell’affermazione. Ma Laura Costantini ha scritto una verità incontestabile: il ministro ha detto pubblicamente ciò che molti pensano e non hanno il coraggio di dire. E giacché anche lei lo pensa, ritengo un suo diritto averlo espresso pubblicamente. Il nocciolo della questione – e questa è stata la riflessione – non è, quindi, avere o non avere il diritto di esprimere la propria opinione, quanto la constatazione, piombatami addosso come una valanga, che lei la pensasse così. È stupido, lo riconosco, ma mi sono sentita tradita. Più volte io e Laura ci siamo scontrate. Ricordo la discussione sugli scrittori emergenti e quella su Roberto Saviano, per esempio. Tuttavia, mi è sempre sembrato di leggere fra le righe una certa intelligenza che le stava guadagnando un posto fra l’esigua quantità di persone che stimo. Non che questo posto debba, per forza, essere ambito, intendiamoci, ma io sono fatta così, ho bisogno di ritenere una persona degna di stima per stimarla. Quindi – e qui prosegue la riflessione – il problema non è lei. Il problema sono io. Estendendo il concetto: il problema è l’io di ciascuno di noi.
Un io, il mio, che odia profondamente le generalizzazioni, tanto che quando affronto tematiche scottanti come la camorra a Napoli, per esempio, parto sempre dal presupposto che non tutti i napoletani siano camorristi. Certo, è complesso – più complesso – vivere nell’ambito di un sistema all’interno del quale sei qualcuno se hai o puoi dare protezione, ma questo non fa di tutti i napoletani dei camorristi. Lo stesso vale per i siciliani (tutti omertosi), per i pugliesi (tutti sguaiatamente prepotenti), per i romani (tutti caciaroni e magnamagna), per i milanesi (tutti gasati), per i parmigiani (tutti snob)…
Il problema sono io. Io che m’indigno. Io che parto lancia in resta come la paladina della giustizia. La giustizia di chi? Se fossi un’ipocrita direi LA GIUSTIZIA (LEI, IN ASSOLUTO), ma cerco di non esserla ipocrita, e quindi ammetto: la giustizia, secondo me. Questo, temo, sia accaduto nella variegata manifestazione di opinioni: ognuno ha difeso a spada sguainata la propria visione di giustizia. Ognuno si è sentito libero, protetto da un quasi anonimato, di portare la sua testimonianza a quell’invito a dire apertamente, come il ministro, che è vero dunque, sono i siciliani ad aver portato in Italia (e magari nel mondo) la cultura che conduce all’inferiorità della donna, alla sua discriminazione, alla sua annientazione. Questo ha invitato a fare Laura. Lei però non si è mascherata dietro a un nick. Ha firmato. Ci ha messo faccia, nome e coraggio (non sono d’accordo su quest’ultimo, ma come tale è stato percepito e quindi ne prendo atto). E non si può negare a nessuno il diritto di esprimere la propria opinione, neppure quando stenta a porre limiti fra caso e genere. Non si può.
Il problema sono io che ritengo si sia persa un’occasione importante di discutere, assieme, le cause del pensiero ancora troppo diffuso (a Nord, al Centro e al Sud, fra maschi e femmine, fra classi e status sociali differenti) della visione della donna come “figa con un po’ di carne attorno”, dell’influenza troppo pressante delle religioni, soprattutto quelle monoteistiche. Il problema sono io che mi domando perché il ministro non abbia detto quella “verità” che, pur’essa, è spesso oggetto di discussione: è una tradizione islamico-cristiana che va corretta, giacché non è dei pakistani o dei siciliani il problema quanto del mondo intero, e soprattutto di quelle società nelle quali le religioni hanno acquisito valenza politica e i suoi rappresentanti giocano a scacchi coi politici nella determinazione del vivere civile.
Lo dico con convinzione: il problema sono io. Io che spero ogni giorno, ogni istante, che le cose possano cambiare e possano cambiare anche attraverso un’interazione intelligente nella rete. Io che ci provo a fornire spunti che vadano oltre lo stereotipo della chiacchiera facile e mi dico: chi se ne fotte dei commenti tout court? Chi se ne fotte dei bene, brava, bis? Chi se ne fotte dei numeri, puntiamo sulla qualità ché mica ci campo di Blog! Io che dico a mia figlia: i cambiamenti nascono dal singolo, da piccoli atteggiamenti che siamo in grado di mutare noi, senza doverli richiedere e pretendere.
Lo dico col cuore in mano, Laura: il problema non sei tu che hai il sacrosanto diritto di pensarla come i tanti che hai portato alla luce con le loro verità spalmate già qua e là su list e blog (ché quando c’è da menar duro su terroni e tifosi ce n’è parecchio di pubblico lindo e scelleratamente caustico nello sferzar condanne); il problema sono io. Però, vedi, in quell’esigua quantità di persone che stimo voglio rimanerci, perciò stento a rientrare nel tuo segmento di target.