Era maledettamente tardi. Sua madre continuava a pigiare sul clacson, insopportabile come la voce stridula di una donnicciola sguaiata. Dove diavolo aveva messo il cellulare? Non poteva partire senza di lui, sarebbe stato l’unico contatto con il suo mondo una volta arrivata “là”. Pensò di cercarlo nella tasca della giacca blu. L’aveva indossata il giorno prima e non l’aveva messa in valigia. La giacca blu era elegante e “là” non avrebbe avuto alcuna occasione di indossarla. Tanto valeva lasciarla nell’armadio. Non c’era. Il clacson continuava a reclamarla e l’innervosiva la frenesia di sua madre così desiderosa di andare “là”. Perché poi? Perché tanta fretta? Si arrampicò sul letto e guardò sopra ai libri appoggiati sulla mensola. Era impossibile che il cellulare fosse in quel posto. Ricordava bene di averlo usato la sera prima. Cercò di ripercorrere mentalmente tutti gli spostamenti. Il pomeriggio era andata a fare un giro con Elsa e Bea. Elsa l’aveva chiamata verso le cinque, avevano programmato di vedersi al solito posto, sul lungomare, davanti al bar di Nicola il pollo. Ogni volta che pensava a Nicola il pollo le veniva da ridere perché quel soprannome era cucito perfettamente addosso al suo portamento impettito e alla sua camminata a scatti. Anche in quella situazione di assoluta criticità non poté fare a meno di sorridere. Si ricordò che il pomeriggio precedente Nicola il pollo aveva tentato un approccio improbabile con la sua amica. Sopra ai libri ritrovò l’orologio che aveva cercato invano qualche settimana prima e un fazzoletto bianco e blu con una minuscola goccia di sangue rappreso. Era di Davide quel fazzoletto. Glielo aveva stretto attorno al polso quando si era tagliata cercando di recuperare l’armonica di Vince’ che era caduta dietro la rete del campo di pallavolo, infilando la mano nell’esagono di filo di ferro. Lo aveva conservato perché le ricordava quel gesto di amore. O forse era un gesto di amicizia che lei aveva voluto interpretare come gesto d’amore. Ricordò di averlo nascosto perché sua madre non lo trovasse. Lo avrebbe messo in lavatrice, insieme agli slip e alle federe.
Elsa e Bea erano già davanti al bar di Nicola il pollo, sedute sulla panchina di fronte al mare. Chiacchieravano fitto fitto e aveva avuto l’impressione che stessero parlando di lei perché al suo arrivo avevano interrotto il discorso. Non c’erano segreti fra di loro e non si era mai sentita di troppo con le sue amiche fino a quel momento. Elsa l’aveva presa sottobraccio e le aveva sussurrato qualcosa su Davide. Lo avevano incontrato, lei e Bea, mentre scendevano dalla parte alta del paese. Quel pomeriggio il cellulare ce l’aveva perché ricordò che sua madre l’aveva chiamata per dirle che avrebbero cenato prima del solito per andare a letto presto e non partire troppo tardi l’indomani mattina. E lo aveva anche al rientro perché Bea l’aveva chiamata per quell’ultimo saluto prima di partire. Si erano promesso di sentirsi ogni giorno.
Il clacson urlò ancora l’impazienza di sua madre, mentre si stava domandando se Davide avesse detto qualcosa alle sue amiche. La stranezza di quel silenzio improvviso l’aveva colta di sorpresa e non si era preoccupata d’altro. Non aveva domandato di Davide. Ora la curiosità la invase. Avrebbe voluto chiamare Elsa.
Era ancora arrampicata sopra al letto quando il cellulare squillò. Che stupida! Perché non ci aveva pensato? Seguì il suono. Attraversò il corridoio. Diventava sempre più forte, più vicino. Veniva dalla sala, dal divano, da sotto al cuscino. Era sua madre. Non rispose. Infilò il cellulare in tasca e richiuse la porta dietro di sé. Fra qualche ora sarebbero state “là”.