Lo so che ne ho già parlato, però oggi, in un intermezzo inatteso (pausa pranzo che in genere salta) ho rigirato fra le mani e risfogliato il libro che ho finito di leggere ieri sera. Le parole son venute da sé, spalmate sul portatile acceso. Non è nelle mie abitudini recensire libri, e neppure questo post è una recensione. Seguo i miei pensieri e li confronto: è questo il mio rapporto coi libri.
Ancora dalla parte delle bambine, ripropone, in una chiave giornalistica sì, ma con una riflessione personale che mi è piaciuta molto, la condizione attuale della bambina e della futura donna che diventerà. Oggi. Uno spaccato sulla differenziazione dei generi, che mai come adesso, non smetterò mai di scriverlo, produce un fraintendimento fra valori propri e desideri indotti. Loredana Lipperini, però, è andata oltre, ponendosi quella domanda che più volte ho posto: di chi è la colpa: dei media?, del marketing?, della pubblicità? Odio profondamente la parola colpa. La odio perché è dura, perché ti trafigge subdolamente come la lama di un pugnale affilato: taglia la carne in un lampo, e il dolore lo senti solo quando il pugnale si ritrae, con la consapevolezza dello smembramento di vene, di muscoli, di tendini… Eppure vi è colpa se oggi [più che in passato] le donne confondono la mercificazione mediatica del loro corpo con la libertà di essere se stesse. Una colpa che non può e non deve essere attribuita al canale di distribuzione, quanto a chi fa i contenuti, a chi li immette in un circuito che sempre più abbassa l’età del target, traballando continuamente fra il sapore di figa e la cenerentolità femminile. Basta leggere le interviste che vengono fatte agli uomini e quelle che vengono fatte alle donne: agli uomini si domanda di politica, di lavoro, di velocità e agilità; alle donne di amori, di leziose visioni della vita, di abilità (che è diversa dall’agilità) e di esprimere qualche piccola cattiveria. [La ricetta è servita. Format lo chiamiamo noi brutti e cattivi della pubblicità.] E va attribuita a chi questo lo consente e a chi resta inerme [vittima, si dirà] e si rifugia, sovente, nel “non sono tutti uguali”. Non sono tutti uguali chi? gli uomini? Convengo, ve ne sono di illuminati, sebbene anche loro, in fondo, subiscano il fascino di una femminilità grintosa che il più delle volte naufraga nella libertà sessuale intesa come facilitazione della caccia, nell’accettazione “prone” di una caduta del femminismo, nella complicità che dà ragione alla loro innegabile [?] superiorità, foss'anche solo fisica. Se gli uomini non sono tutti uguali, ne deriva forse che lo siano le donne? Tutte uguali come? Tutte puttane? No, è finita, secondo me, anche l’epoca di quello stereotipo, sebbene, ancora, qualche conservatore, tiri fuori a difesa del genere l’asso nella manica: Se parli così allora ti posso rispondere che tutte le donne sono puttane. No, non mi puoi rispondere così per due motivi: il primo è che se t’incontro e me lo dici a due centimetri dal mio naso ti spacco la faccia; il secondo è che sai benissimo che non è vero e quindi non fare lo stronzo e usala questa cazzo d’intelligenza che tutti i sondaggi e le statistiche attribuiscono al genere maschile!
Il dato principale è che siamo “tutti uguali”, ma differenziati per genere. Però nella differenziazione vi è un’intesa perfetta: quel buco è prezioso, per gli uomini e per le donne. E allora la pubblicità che fa? Ci analizza, ci conosce, ci riflette. La pubblicità “lo sa”, come ho già scritto e come meglio scrive Anna Maria Testa in una delle varie testimonianze che si trovano in Ancora dalla parte delle bambine. Lo sa e cavalca l’onda per assolvere al suo compito che non è sociale-educativo ma puramente commerciale: vendere. Vendere a chi è già convinto di essere inscritto in quel target. Non riuscirei a vendervi un sapone se non foste già convinti del bisogno di lavarvi, non riuscirei a vendervi “quel” sapone se non foste già convinti della necessità di mantenere bella, giovane e tonica la vostra pelle.
Non riuscirebbe, la pubblicità, a vendere sesso se non fossimo già convinti che quel buco è prezioso. Una preziosità che la Chiesa chiama maternità, ma non lacera e non sporca nella Sempre Vergine Maria, e di cui consente il possesso a un solo uomo. Una preziosità laica che si fa mezzo: vascello per migliaia di informazioni devianti che lasciano alla donna il solo spazio della femminilità: packaging indispensabile, il più possibile lustro e remissivo, di una remissività che non è più obbedienza ma presunta convinzione di scelta. Sono convinte, le donne, che non sono gli uomini a usare il loro corpo, ma, al contrario, loro stesse a servirsene (giacché ce l’hanno ed è così prezioso che serva alla donna!). Hanno anche un cervello – oramai non è più contestato – però è essenziale che non si dimentichino del corpo. Sarà quello ad assicurarle il futuro sia esso professionale o amoroso. Il buco è mio e lo gestisco io, scrivevano sui muri le femministe. Peccato che sia stato gestito secondo il format maschile.
In un commento al precedente post “La parola al sesso forte”, ho scritto, a proposito di un pezzo indicato e ritenuto, da donne e uomini, lo specchio della femminilità, che non lo condivido, per quanto scritto bene. Non lo condivido perché sono proprio questi contenuti, mutuati da una letteratura ghettizzante, ad accrescere la convinzione, nella bambina, che la cura della casa, dei figli, del proprio uomo nel quale rispecchiarsi al risveglio e dal quale ottenere parole di plauso e gratificazione “personale” [?], siano il proprio destino, inscritto in quella formidabile invenzione maschile che è la femminilità.
Smettiamola, vi prego, di farci convincere che il mondo rosa dal quale abbiamo cercato di tirarci fuori, sia, in realtà, tutto quello che desideriamo. Il libro leggetelo: per molti potrebbe essere l’inizio di una riflessione, per altri – come nel mio caso – si potrebbe consolidare la certezza dell’esistenza di altre donne (e uomini) che vanno al di là di tette e culi, pur avendoli. Troverete molte citazioni di altri libri: una bibliografia che, se non altro per amore di confronto, vi suggerisco. Fra tutti, come ho già, varie volte, ripetuto: Il secondo sesso. Troverete anche molti website e blog. E testimonianze interessantissime (non solo di donne).
Ancora dalla parte delle bambine: leggetelo, spegnete la televisione e discutetene con le vostre bambine e i vostri bambini (anche con loro).