GLI ALTRI CASSETTI

giovedì 30 agosto 2007

Lavavetri: guerra di taniche e spugne.

Il mio non è buonismo, lo giuro. Semplicemente, i lavavetri non m’infastidiscono.
Sono stata educata al rispetto del lavoro. Mi hanno insegnato che chiedere la carità non è dignitoso, meglio lavorare. Lavorare onestamente, qualunque sia il lavoro. Non so se sia giusto o sbagliato, so che ancora oggi, con i miei titoli e i miei master, con le mie esperienze e i miei progetti realizzati e da realizzare, sono profondamente persuasa che il lavoro sia la base di tutto: lavorare, produrre, essere parte del sistema e non solo osservatore che critica da un piedistallo.
Perciò mi lascia alquanto perplessa la caciara mediatica del momento (ordinanza comunale del comune di Firenze; polemiche politiche; post sul blog “polis” ).
Da cittadina onesta che paga le tasse e rispetta le leggi (anche quelle del codice stradale – se si escludono le numerose multe per divieto di sosta che, tuttavia, pago senza contestare giacché consapevole di aver infranto una regola), sono indignata non dalla presenza dei lavavetri che, tutto sommato, con un “no secco” se ne stanno al posto loro, quanto dall’incapacità delle istituzioni di affrontare il problema reale che sta alla base ed è ben più grave di un lavavetri che contratta i cinquanta centesimi che gli si porgono.
Si tratta, nella maggioranza dei casi se non i tutti, di clandestini.
Mi attenderei (da una politica capace e non corrotta dai frabalà mediatici) che ci si occupasse, prima ancora di cacciarli da un comune, di accertare e regolarizzare la loro posizione.
Si tratta, in moltissimi casi, di minori.
Mi attenderei (da una politica equa che non faccia del futuro di questo Paese – il mio, il nostro – solo uno stendardo da innalzare in tempo di elezioni) che si provvedesse al loro censimento, all’accertamento della tutorialità, all’inserimento a scuola attraverso quei sistemi sociali che ogni comune ha a disposizione e che troppo spesso sperperano denaro “per dire” più che “per fare”.