GLI ALTRI CASSETTI

venerdì 3 agosto 2007

E ancora mi domando se morire inseguendo la propria verità sia un bel morire.

Mi ricordo una notte che stavo male e non lo sapeva nessuno. Enzo mi chiamò. Era passata da poco la mezzanotte, lo ricordo bene perché avevo appena sentito il fischio dell’interregionale La Spezia-Parma. Mi disse che non l’avevo mica fregato, che lui lo sapeva che qualcosa non stava funzionando e sapeva esattamente di cosa si trattasse, perché l’amico non c’ha bisogno d’imbeccate. Abbiamo parlato del mio stare male, ma soprattutto abbiamo parlato del mio stare bene. Devi mangiare, mi ordinò. Devi mangiare, porcaputtana! Stava partendo per la Colombia, lui, quella notte, ché ce l’ha sempre avuto il pallino della Colombia. Mica per le fighe. Anche per le fighe, però! Si stava preparando per partire e mi stava dicendo che dovevo mangiare, e c’aveva ragione ché erano tre giorni che non mangiavo. S’inventò un gioco: preparare un’insalata uguale uguale. Mi chiese di aprire il frigo, e lui fece lo stesso. Si fece elencare il contenuto ed escluse tutto ciò che gli mancava, ché mica aveva fatto una gran spesa! Lattuga sì, pomodori sì, peperoni no (con quelli ti farai una peperonata domani!), ravanelli no (ma ti piacciono i ravanelli?), cetriolo (sì ce l’ho, ma non lo uso per l’insalata! Sei un porco! E tu una santarellina del cazzo!).
Non è facile dire cos’era Enzo. Hanno scritto di tutto: un grand’uomo, un cazzone, un giornalista, un sognatore, un porco, uno sprovveduto, un pubblicitario stravagante, un coraggioso, un figlio di puttana… Credo che fosse un po’ di tutto questo.

Enzo è Enzo, e il presente è decisamente voluto.

Mi manchi panzone. Chissà se ti sono giunte le mie parole. E ancora mi domando se morire inseguendo la propria verità sia un bel morire.
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